23 maggio 2012

VENTI


L'autostrada che collega Punta Raisi a Palermo, l'avrò fatta avanti e indietro almeno 50 volte nell'ultimo anno.
Alcune volte era sera e dormicchiavo, altre leggevo, altre ero a telefono, altre chissà dove guardavo. Certe volte però restavo più attenta all'altezza di Capaci, soprattutto tornando dall'aeroporto verso la città. Non c'è una volta che non abbia pensato a quanto siano brutte quelle colonne di granito rosso. Non che si potesse fare di meglio, su un'autostrada. Sicuramente molto meglio del semplice guard-rail dipinto di rosso del primo periodo.
Sicurissimamente molto, molto meglio della targa gialla dell'anas con le lettere adesive nere appiccicate a formare i nomi delle vittime, come se indicassero una deviazione del corso ordinario della nostra strada.
Però, in effetti, per quanto maestose e istituzionali siano quelle colonne gemelle ai lati dell'autostrada, sono proprio brutte.
Del resto
bruttissimo è stato quello che è successo in quei metri 20 anni fa. 
Io avevo quasi 11 anni, ero a Licata, un posto di mare, in macchina con mio padre, mia madre e mio fratello. Stavamo mangiando una vaschetta di riso al forno, una specie di arancina più ordinata. Abbiamo sentito la notizia alla radio, e io ho capito che doveva trattarsi di qualcosa di grave perché i miei si sono incupiti, intristiti.
Avevo quasi 11 anni, e come il resto della mia generazione in quel giorno ho perso la mia innocenza. 

18 maggio 2012

EASY WALL ART

Avere molto tempo a disposizione ti permette di riordinare le idee, e di realizzare quelle che avevi messo di lato da un bel po' di tempo. Un po' di tempo fa ho trovato questo progetto su un sito, e m'è subito sembrato facile da realizzare.. come dire: volere è potere!
Occorrente: 
- 4 pezzi di legno non troppo piatti, della lunghezza che preferite (io li ho fatti tagliare 50x50 cm);
- uno scampolo di stoffa abbastanza grande da poter essere intelaiato nella nostra struttura;
- un vasetto di tempera (o, ancora meglio, di colore acrilico) + pennello piatto;
- spillatrice da muro;
- lettere adesive (le trovate in cartoleria);
- una frase degna di essere incorniciata.



1. Formate un telaio quadrato spillando i pezzi di legno. Attenzione a disporre correttamente i pezzi prima di iniziare a spillarli, o rischierete di avere una forma sgangherata e inutilizzabile.



2. Stirate per bene il pezzo di stoffa che volete incorniciare: io ho utilizzato uno scampolo di cotone abbastanza spesso preso per pochi euro all'Ikea.


3. Dopo aver posizionato il telaio sulla stoffa, spillate i lembi avanzati sul retro della stessa struttura di legno. Attenzione a tirare bene la stoffa man mano che la fissate al legno, in modo da tenerla ben tesa. Se la stoffa ha una particolare fantasia assicuratevi che sia posizionata in modo corretto e non storta rispetto al telaio. 


4. A questo punto abbiamo la nostra "tela", su cui andremo ad apporre le lettere adesive che comporranno la frase che abbiamo scelto.



5. Tenendo conto della grandezza della tela e delle lettere, tracciamo delle righe molto leggere con una matita, e disponiamo le lettere adesive, componendo la nostra frase. Non fate come me, che ho fatto un casino (sembrava un pentagramma).. e ho scoperto, a mie spese, che la penna blu si continua a vedere, nonostante la tempera! Mi raccomando: precisione, delicatezza e, soprattutto, matita!




6. Spennellate a volontà la tempera (o l'acrilico) sulle lettere; vi consiglio di dare più mani, assicurandovi che la base sia ben asciutta. Ho utilizzato una tempera bianca, ma vanno bene anche altri colori chiari; in tal modo la fantasia della stoffa risulterà comunque visibile.
Una volta asciutto, aiutatevi con delle pinzette da estetista per staccare delicatamente le lettere dalla tela.. et voilà. Ecco il risultato!


Se siete più bravi di me, le linee non si vedranno. 
Io ho rimediato appendendo il quadro molto, MOLTO, in alto..

16 maggio 2012

AN HAPPY PLACE


Tra tutti gli insulti che potrebbero indirizzarmi ce n'è sicuramente uno che proprio non mi potrebbe mai toccare:
le mie braccia non sono per niente rubate all'agricoltura, e, qualora l'agricoltura avesse preferito tenersele, non le sarebbero state comunque molto d'aiuto.
Ne ho avuto la riprova oggi, in un pomeriggio di noia trasformato in una sessione di frontierville dal vivo.
La zappa non mi dona, decisamente.
E le piante grasse, forse per invidia o competizione, ce l'hanno indiscutibilmente con me.
Ora che sono a casa, più indolenzita dei portatori dei ceri di Gubbio (visto che è periodo), rivaluto la possibilità cutugnana di andare a vivere in campagna. 
A meno che il concetto di campagna non sia quello di magione provenzale con tanto di servitù, ovvio.
Eppure, lì per lì, c'era qualcosa nell'aria che mi dava energia. 
Tornare dopo anni nei posti precisi e vedere se la memoria ci ritrovava gli alberi giusti. 
Stupirsi di come un pezzo di terra sia in realtà molto più piccolo ora di quanto lo vedevamo 20 anni fa.
Raccogliere i limoni, e le nespole. Fregare i primi gelsi sempre dallo stesso albero, quello del vicino.
E poi fermarsi, col cuore in gola, a vedere quanto sono cresciuti gli alberi che ha piantato papà. Sono altissimi, diritti e forti. Belli e sani. 
Proprio come lui, e un po' anche come noi.




14 maggio 2012

I titoli dei film americani vengono sminchiati indecorosamente nel novanta per cento delle loro traduzioni in italiano.
Questo film, ad esempio, in italiano è diventato un banale "La ragazza del secolo".
Parla di una scemetta che sogna di diventare qualcuno, non sa bene chi e non sa bene perché. Si compra un grande spazio su un muro di New York e ci fa pitturare a lettere gigantesche il suo nome.
Così, senza arte né parte, diventa strafamosa, straricercata e - manco a dirlo - straricca.
Ora
io ho studiato anni materie che mi facevano già sentire seduta sugli scranni del parlamento europeo. A distanza di sei anni ho scordato l'80% delle cose che sapevo e sono senza un lavoro.
Avete per caso un muro che vi avanza?

12 maggio 2012

manca esattamente un mese al mio compleanno. 
e no, NON E' UNA BIRKIN VERA. costa molto meno.
non avete scuse.





3 maggio 2012

TUTTO IL NIENTE CHE RIMANE


C’è una cosa che mia madre non dice più ed è questa: “Alla tua età io avevo già due figli”. Il tono era sempre esageratamente melodrammatico. Come dire: crescere te e Pietro è stato come allevare una muta di cani con la rabbia.
Adesso non lo dice più.
Ho trent’anni. Sono passati cinque anni dalla mia laurea, tre da quando sono partita per venire a Torino a cercare una supplenza. In questi anni mi ha fatto molte telefonate e molte domande (Non hai conosciuto nessuno? Fino a quando dura il contratto? Ti pagheranno mai?); le mie riposte le hanno scardinato un’idea di mondo, il suo, finché ha capito, non ci paragona più.
E’ un sollievo e al tempo stesso non lo è.

Qualcosa mi è sfuggito dalle mani, ora me ne accorgo anch’io. Mentre mi concentravo sulla prossima scadenza, sulla fine del mese, su un possibile lavoro, su quei ritagli di tempo che avrebbero dovuto garantirmi una vita sociale, qualcosa mi è sfuggito e non sono riuscita a trattenerlo. Non è la giovinezza, non sono le occasioni perdute, né le persone lasciate. Sono io: non c’è niente di me che rimane.

Penso alle cose che scriviamo su twitter e che spariscono dopo pochi secondi, all’articolo che riusciamo a farci pubblicare, agli stage che si accumulano nel curriculum, alle iniziative che riusciamo a farci finanziare con meno soldi ogni anno, ai coinquilini che vediamo ruotare e per cui ruotiamo, ai lavori diversi in posti diversi: tutto quello che ci riguarda non mette radici e quindi non dà frutti. E’ destinato a sparire.
Le decisioni della politica ci travolgono come ondate cui è necessario resistere per restare a galla. Possiamo solo criticarle, andare a votare senza perdere la speranza, aspettare la prossima ondata.
Ci sono ancora i figli, certo, ma non sono nostri. Siamo i loro insegnanti precari, i loro educatori a tempo determinato, nient’altro. E volendo averne ci diciamo che non potremmo mantenerli e spessissimo è vero: non possiamo occuparci di loro perché ci stiamo ancora occupando di noi.
E mentre ci concentriamo sulla scadenza ormai prossima, sulla fine del mese, su quel lavoro perso, non lasciamo un segno duraturo su questo Paese. Niente che possa renderlo più bello o che riesca a scalfirlo, sfregiarlo. Niente che ne cambi davvero la rotta.

E’ probabile che sia solo un po’ di stanchezza o il fatto che il trascorrere degli anni mi abbia trovato impreparata, ma ultimamente la sento questa mancanza per quello che potrei fare, insegnare, trasmettere e che invece è destinato a venire via con me ovunque debba andare.
Sei fortunata, mamma: alla mia età tu avevi già una piccola parte di mondo tutta tua che stavi contribuendo a formare. E’ triste, ma non disperare: magari Pietro ci farà una sorpresa.


Questa cosa l'ha scritta Giusi Marchetta, 30 anni, insegnante precaria e scrittrice.
Ho sorriso mentre la leggevo, perché - piccoli dettagli a parte - l'avrei potuta scrivere io; solo poche ore fa stavo bene e parlavo di luce con l'ottimismo e la forza che solo il primo sole sa darti, e ora mi ritrovo in una selva oscura, popolata da fantasmi. Il sole è un po' sceso e tira un'arietta che mi fa venire la pelle d'oca.
Sono in cassa integrazione.
Ho dovuto cercare su google come si scrivesse correttamente, perché fino a oggi ne avevo solo sentito parlare, e anche quando leggevo questa parola i miei occhi non la vedevano e il mio cervello non la registrava. Semplicemente era una cosa che non esisteva, che non poteva esistere.
A quanto pare allora la crisi è veramente così: non esiste finché non ci tocca.
E ora?
Dovrebbe essere una cosa momentanea, ma si è concretizzata, e le paure quando diventano reali sono ancora più paurose. Un po' come le malattie. Io la paura di restare senza lavoro non ce l'avevo mai avuta, e ora sono nel panico.
La prima sensazione è quella dell'irrimediabilità del disastro. La sensazione di sconfitta, di fallimento cosmico, mio agli occhi di me stessa e mio agli occhi degli altri.
Provo vergogna, come se fosse colpa mia.
Come farò a dirlo al mio ragazzo, che si ammazza tra mille lavoretti precari e pericolosi? Come farò a parlarne con mia mamma? Che penserà mio fratello che ancora deve laurearsi?
E ancora, come cazzo ho fatto a infognarmi in questo cul de sac? 
E' come se avessi bruciato 5 anni preziosi della mia gioventù. 5 anni in un posto che non mi piace, con un lavoro che non mi è mai piaciuto "però a tempo indeterminato", coi piedi incatramati in questo pantano fino a oggi.
5 anni in cui avrei potuto fare di tutto, essere ovunque, essere diventata chiunque.
E invece sono io, qua. Più povera di prima, sicuramente (e non in senso economico). Una povera scema che a 30 anni è nel panico di dover affrontare una cosa più grande di lei senza esserne minimamente pronta.

Boh.

Ci penserò su.


Per fortuna la primavera non è solo la stagione dei matrimoni (altrui).
E' la stagione dei giri in macchina, della nuova playlist sull'ipod, delle maniche corte, dei sogni per le vacanze (abbattuti a colpi in testa dal conto in banca sempre più disperato), delle ballerine che ci fanno il culo basso, dei colori pastello e dei capelli raccolti.
Ci sarà tempo per lamentarci delle zanzare, dell'ascella pezzata, del caldo di notte e del casino in spiaggia.
Tutto è più luminoso e un po' di questa luce ce la portiamo dentro anche noi.

ps. ho trovato questo programma carino che consente di creare l'effetto polaroid. 
Pare vero!